Adriana Rigamonti

2007

Il dio del sole

von Adriana Rigamonti

Fobia, phobie, Phobie, fobico, phobique, phobisch … E poi ancora? Che cosa significa questa serie di parole? Nomi, aggettivi… Quando li ho sentiti? L’anno scorso, la settimana scorsa, il giorno scorso… Il giorno scorso: esiste questo concetto? L’ho creato io? Il giorno scorso, il giorno scorso… Da quanto sono qui? Non riesco a ricordare, tutto è uguale: mattina, mezzogiorno, sera… In mezzo c’è qualcosa, ne sono sicuro, nella mia mente c’è qualcosa: un ricordo, c’è stato un tempo in cui ero felice. Ma quando? Cerco di mettere a fuoco: un posteggio, grande. E una casa, una… Dio, non so: deve avere un nome, ma non lo ricordo.
Un bambino corre tra l’erba, forse sono io. O forse no! È rosso di capelli, sottile e ha dei jeans blu, rattoppati qua e là; ha una maglietta gialla con le maniche lunghe che gli coprono le mani. Magari è una bambina, mi pare che abbia una collana di piccole perle bianche: attorno al collo, troppo lungo e sottile. Un collo di cigno! Un cigno spiega le ali: dov’è finito il bambino? Non sono riuscito a capire se è un lui o una lei, non me ne ha lasciato il tempo, e d’altronde non mi interessa già più. Fobia, phobie, Phobie, fobico, phobique, phobisch, Phoebe … Chi ripete queste parole ? Non hanno senso : c’è un uomo qui, no, due… Insomma, il cigno : nuota nel lago blu, sotto di lui l’acqua si increspa piano, crea disegni mutevoli. Tento di afferrarli, dentro c’è dell’argento e del verde, ma tutto si dissolve e il cigno nuota maestoso verso le colline, le ali di nebbia dispiegate contro il vento.

“Dottore, ce la farà? Voglio dire, riuscirà a ragionare ancora, a spiegare? Non riesco a capire, sul lavoro lo stimavano, davvero: aveva appena avuto una promozione. No, le assicuro: niente mobbing o qualcosa di simile, niente di niente. Non mi crede, vero?”
“Signora, non so che dirle: stress, forse! Aspettiamo…”

Il cigno c’era, ne sono sicuro. Adesso però se n’è andato. Anche tu te ne sei andato. Dove? Torna indietro, ti prego. Ti amo! Perché non riesco a ricordare i tuoi occhi? C’è la bambina di fronte a me, quella con la collana di perle bianche: piccole, così piccole… Mi fa un cenno, sento che voglio avvicinarmi ma non posso, c’è quella casa che mi fa paura. C’è qualcosa nascosto lì dentro, qualcosa che non voglio vedere. Ma che cosa? Il cigno? No di certo! Il tempo che sfugge? Forse: un attimo fa era mattina, e ora è buio, così buio… Ci sono le stelle, bianche e fredde. E la luna, rotonda, piatta, triste. Fa’ uno sforzo, cammina verso la casa, apri la porta: color argento, non è giusto, le porte non sono color argento: è uno scherzo della luna, lo so.

“Sono certa che non voleva farlo! Si è solo spaventato, non se l’aspettava. Forse l’ha preso per un ladro, i furti sono diventati così frequenti, ultimamente. Sa, tutti quei Rumeni…”
“Signora, non ci sono Rumeni in questa zona. E poi qui non si tratta di furto, bensì di omicidio.”
“E se fosse stata legittima difesa? Forse lui, Giona voglio dire, si è sentito minacciato, ha reagito senza pensarci. Come si chiama? Ah sì, eccesso di legittima difesa.”

Mi avvicino alla casa: finalmente, non è poi così difficile. Cammino lungo il posteggio, l’asfalto è come cristallo e la bambina rossa di capelli corre accanto a me, canterella qualcosa, un tautogramma forse, sì ne sono certo: Fobia, phobie, Phobie, fobico, phobique, phobisch, Phoebe, Phoebus … Vorrei che smettesse, mi fa paura: come una minaccia, ma quale? Basta, piantala, una brava bambina non si comporta così. Senti, lasciami in pace: guarda, c’è un cigno, che ci fa qui? Dai, va’ a prenderlo, sono sicuro che non becca. Io intanto corro alla porta, la apro: non è d’argento, è una porta normale, bruna. E c’è quella targa: “Posto di polizia: dipartimento delle istituzioni”. Che significa? Mastico quelle parole, non hanno sugo ma un odore strano, di computer tenuti troppo accesi e di inchiostro: una stampante.
C’è un cigno, ma era fuori: un attimo fa! Ora è dentro, lo tocco: peluche! Bianco, morbido, profumo di polvere sudata. Tu sei lì! Che ci fai seduto alla scrivania? Non dovevi esserci, eri di pattuglia con la bionda. Quella maledetta donna… Ti piace, eh? Oh, ho visto come la guardavi: te li leggo in faccia, i tuoi pensieri, sei un bel porco, lasciatelo dire! E non chiamarmi capoposto, è ridicolo! Io ti amo, che te ne frega se sono sposato, sono bi! La cosa ti scandalizza? Ma guarda un po’… Comunque fa lo stesso, tu una storia con la bionda non ce l’hai, non sei il suo tipo, puoi credermi. E che cos’hai da ridere? Hai denti bellissimi, bianchi… una collana di perle.
Pam pam, i suoni degli spari: due, uno dopo l’altro! E tu continui a ridere, ti prego smettila, stai morendo, non lo capisci? Non sei suo, della bionda, ma neanche mio, ora ne sono certo! Il grido mi rompe le orecchie, duro, gelido, triste e assoluto come la luna.

“Signora, suo marito era un poliziotto esperto... E ha ucciso un collega: seduto alla scrivania, per giunta… L’ipotesi di legittima difesa non può reggere: a parer mio, dopotutto non sono un avvocato… Piuttosto, chi è la bambina?”
“Quale bambina?”
“Beh, lui a volte ne parla. Una bambina dai capelli rossi, con una maglietta gialla…”
“Mio Dio, no: Phoebe!”
“Chi è Phoebe?”
“Nostra figlia: è morta otto anni fa, annegata: voleva recuperare il suo cigno di peluche, era caduto nella piscina. Lei sapeva nuotare, ma… forse era perché indossava quei jeans e quella maglietta: le impedivano di muoversi liberamente, capisce? Insomma, Giona non la nominava mai, pensavo che non avesse sofferto molto: sa, lui desiderava un figlio maschio; sì, alla piccola voleva bene, ma non è che proprio stravedesse.”
“Però ripete quelle parole: prima non ci avevo pensato, ma ora… forse non parla di fobie: o non solo!”

Fobia, phobie, Phobie, fobico, phobique, phobisch … No, non è quello. Phoebe ! Già… ma che significa? Non riesco a ricordare. Forse era una cosa importante, o forse no. E tu sei morto. I tuoi denti bellissimi, i tuoi capelli rossi… come Phoebe: Ma qual era il tuo nome? Phoebus, il dio del sole: forse…